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L’invecchiamento dei liquori

Chi ogni tanto ha tra le mani una bottiglia di liquore e guarda l’etichetta si sarà sicuramente stupito dell’indicazione dell’età. Questo è un ulteriore segnale di quanto siano importanti gli anni di invecchiamento dei liquori. Tuttavia non è esagerato dire che per determinati distillati il processo di invecchiamento è il passaggio più importante in assoluto nella fase di realizzazione del prodotto. Ma andiamo con ordine.

Non è vero che tutti i liquori devono invecchiare. La fase di invecchiamento si riconosce dal colore del distillato. Se è incolore, non è invecchiato, se invece mostra un colore da leggermente giallognolo a marrone scuro, allora significa che è stato conservato a lungo nelle botti, quindi è invecchiato. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ad esempio il rum bianco, il cui colore scompare dopo una breve conservazione in botte, oppure la maggior parte dei distillati economici, ai quali viene aggiunto un colorante (solitamente caramello) per dare l’impressione che siano stati conservati (più a lungo) nelle botti. Tra i liquori più famosi che non invecchiano in botte ci sono la vodka e il gin. La maggior parte degli altri liquori migliora a seguito di un invecchiamento in botte, perché questo influisce direttamente sulla qualità e anche sul prezzo.

I costi di un invecchiamento più lungo in botte sono relativamente lineari; più un distillato è invecchiato, maggiori sono i costi di conservazione e di capitale. Inoltre, l’invecchiamento in botte richiede un tributo sotto forma di «part des anges», ovvero l’evaporazione di alcol e/o acqua dalle botti. Ogni anno il produttore perde per ogni botte un paio di litri di distillato e questo a sua volta si ripercuote sul prezzo di vendita.

Ma come già detto in precedenza, il processo di invecchiamento e la sua influenza sulla qualità del distillato non vanno sottovalutati. Infatti, in questa fase della produzione i liquori entrano in contatto con l’ossigeno presente nell’aria, che a sua volta genera diverse reazioni chimiche. Senza entrare nei dettagli, si può dire che si creano nuove sostanze aromatizzanti e che gli ingredienti sgraditi, come l’acetaldeide, vengono a poco a poco eliminati. Il distillato acquisisce così un sapore più rotondo per il palato umano e anche più complesso, grazie ad aromi più riconoscibili.

Un esempio chiaro è quello del cognac. Per produrlo si utilizzano vitigni quali Ugni Blanc e Colombard che hanno un’acidità elevata, ma poco aroma. Un cognac appena distillato non è solo incolore ma anche e soprattutto insapore. Il fatto che sia però uno dei liquori più famosi e più cari al mondo è da ricondursi al pluriennale invecchiamento in botte. Il distillato più giovane contenuto in un cognac XO dell’aprile 2016 deve avere dieci anni, ma in media gli anni di invecchiamento sono spesso 20 o anche di più.

L’invecchiamento in botte. Un altro aspetto importante è il tipo di botte. Nella maggior parte dei casi si utilizzano botti di rovere per l’invecchiamento. A seconda del tipo e dell’età, la botte dona al distillato altri aromi diversi. Pertanto, una botte nuova di rovere carbonizzato all’interno rilascia più aromi di una botte più vecchia e di legno bruciato. Inoltre, soprattutto per il whisky scozzese, il cosiddetto «finishing» è sempre più popolare. In altre parole, prima di essere imbottigliato, il whisky viene fatto invecchiare per circa 6-24 mesi in una botte utilizzata in precedenza per altri liquori o per il vino, come lo sherry (principalmente Oloroso) o il porto. Di fatto, i pori di queste botti contengono ancora un paio di litri del contenuto precedente, i cui aromi vengono rilasciati nel whisky.

Sebbene per l’invecchiamento si possa tenere conto ancora di innumerevoli altri fattori, come la temperatura di conservazione, l’umidità dell’aria, la potenza alcolica del distillato, ecc., noi ci fermiamo qui e riserviamo il resto per un altro articolo.

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